Domenica 29 agosto, mentre le nuvole si addensavano nel cielo di Scanno e il giorno volgeva all’imbrunire, mi sono recata alla Volta delle idee per scambiare qualche parola con Marinello Mastrogiuseppe, autore della mostra fotografica intitolata “Scanno km 0”.
Come è nata la passione per la fotografia?
Frequentavo la seconda media, il mio compagno di banco era un ragazzo di Sulmona. Spesso portava con sé a scuola delle riviste, perché suo padre era proprietario di uno studio fotografico. Ricordo che sfogliavamo insieme “Fotografare”, ed io ne restavo incantato.
Quando ha acquistato la sua prima macchina fotografica?
Credo a diciassette o diciotto anni. A quel tempo giocavo a calcio, e in una finale nazionale juniores ad Arezzo mi fratturai il malleolo. A seguito dell’infortunio, non potendo più giocare, frequentai dei corsi di arbitraggio e così cominciai a lavorare come arbitro. Con i soldi risparmiati acquistai una Canon AE-1 e un obiettivo, insieme all’occorrente per lo sviluppo e stampa con un ingranditore DURST 301 con la testa in bianconero.
Qual è stato il punto di svolta nel mondo della fotografia?
La città di Arles significa tanto per me, e al contempo rappresenta un rimpianto. Avrei potuto avere più successo, ma l’inesperienza giovanile non mi favorì. Alla fine degli anni Settanta cominciai a viaggiare in Francia, Arles era una città culturalmente fiorente all’epoca e un luogo di ritrovo per i fotografi di tutta Europa. Lì conobbi un gruppo di fotografi italiani e mi unii a loro. Per due anni consecutivi mi recai ad Arles; il terzo anno mi feci coraggio e riuscii a prenotare un appuntamento con Jean-Claude Lemagny.
E quale fu il suo rimpianto?
Presentai il mio lavoro a Jean-Claude Lemagny. Attorno c’erano i miei amici, lo osservavamo perplessi mentre, in silenzio, visionava le fotografie. Temevamo ci avrebbe cacciato dall’aula prendendoci a male parole, come peraltro accadeva non di rado con svariati fotografi. Avevo commesso un grave errore, mi fece notare alla fine Lemagny, perché avevo realizzato il mio lavoro sulla carta politenata. Ciò mi penalizzò molto, avevo perduto un’occasione importante per affermare il mio nome, ma io all’epoca ignoravo l’esistenza di altri tipi di carta oltre a quella politenata.
Comunque Lemagny mi disse di tornare l’anno successivo, sostituendo la carta politenata con la carta al clorobromo e montando le foto su un cartoncino di cotone al 100%. Sudai freddo per un anno intero, e quando tornai al colloquio mi approvò due fotografie. Nonostante le difficoltà e l’occasione persa l’anno prima, ricordo quell’avvenimento come un grande traguardo. Infatti poi ebbi modo di festeggiare con i miei amici procurandomi l’appuntamento per alcune mostre personali molto importanti.
Ha avuto modo di lavorare all’estero dopo quell’esperienza?
Sì certamente, feci le mie prime mostre a Bordeux e Zurigo, partecipai a vari eventi fotografici sia all’estero sia in Italia. Negli anni mi sono adoperato molto nel mondo della fotografia. Tenni anche dei corsi di aggiornamento per gli insegnanti, dopo aver conseguito l’abilitazione all’insegnamento nel concorso nazionale bandito dall’allora Ministero della Pubblica Istruzione per l’Insegnamento di “Tecniche Fotografiche” e l’iscrizione all’albo degli insegnanti del Provveditore agli studi de L’Aquila.
Fu in quel periodo che iniziò a lavorare alla sua mostra “Scanno km 0”?
Fu in seguito, all’inizio degli anni Ottanta. Venni a Scanno con un gruppo di amici fotografi, e rimasi subito colpito dal paese e dalle sue tradizioni. Tornai successivamente da solo altre due volte, per un totale di un centinaio di scatti in bianco e nero, di cui poi ho effettuato una selezione.
Perché a Scanno sono così importanti le tradizioni?
Si tratta di un retaggio secolare, ci sarebbe molto da raccontare. Scanno, insieme a Castel del Monte, in passato era il paese più fiorente d’Abruzzo, soprattutto grazie alla lavorazione e al commercio della caratteristica lana nera. La transumanza allontanava gli uomini da settembre fino a giugno, ed erano le donne a portare avanti tutte le altre attività. La mia mostra è incentrata proprio sulle “Regine” di Scanno, fotografate mentre sono intente nelle loro attività caratteristiche: filare la lana, ricamare con il tombolo e lavorare in campagna. Ho incluso anche degli scatti mentre indossano i gioielli d’oro tipici del luogo, perché anche l’oreficeria è una delle tradizioni più antiche di Scanno.
Per quale motivo Scanno è soprannominato “il paese dei fotografi”?
I più grandi fotografi del Novecento sono venuti a Scanno, come Henri Cartier-Bresson, Mario Giacomelli ( di cui ricordo la celebre foto “Il bambino di Scanno” esposta al MoMa di New York nel 1964) Ferdinando Scianna, Gianni Berego Gardin (cittadino onorario di Scanno), Hilde Lotz-Bauer ed Elliott Herwitt (che ebbi l’onore di conoscere a Cocullo).
Secondo lei scattare una fotografia è simile a scrivere una poesia?
Fotografia e poesia sono arti affini, entrambe indagano il mondo con il proprio sguardo. Io credo molto nel valore della poesia, oggigiorno è importante preservare l’arte e soprattutto diffonderla tra i giovani. Spinto da questi ideali, ho deciso di fondare il Museo della fotografia di Sulmona.
La ringrazio signor Mastrogiuseppe per questa piacevole conversazione. La Bellezza sta già salvando il mondo e anche lei, con i suoi meravigliosi scatti, sta contribuendo.
Sono una studentessa dell’università di Roma La Sapienza, ho 20 anni. La scrittura è sempre stata fondamentale per me, anche nei momenti più difficili. Nel 2019 mi sono classificata seconda al Premio Nazionale Giacomo Leopardi.
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