Di Riccardo Magni
Nel corso della storia il poeta è rimasto continuamente in bilico tra due poli opposti; tra l’essere un doctus, un erudito che ha forgiato la propria ars attraverso lo studio assiduo dei libri, e l’essere un vas electionis, un vaso da riempire attraverso l’in-spiratio divina.
Se l’origine del secondo “tipo” di poeta è rintracciabile nella Grecia più arcaica, in particolare nell’archetipo del poeta pastore esiodeo, che incontra le proprie Muse elettrici in regioni selvagge e montuose, il primo tipo è erudito, ex rure, appunto, lontano dalla rusticitas e profondamente immerso in un ambiente urbano, raffinato e tipicamente ellenistico. Il poeta erudito plasma i propri mondi poetici attraverso la strenua applicazione libresca, che prende forma non in modo intuitivo e rivelatore, ma attraverso un labor limae incessante che oltre a limare i componimenti non esita a rendere macrum il poeta stesso.
Quindi, se il poeta vate è imbevuto della parola divina ed è sapiente in quanto profeta, nel senso propriamente etimologico del greco di colui che parla al posto del dio, invece, il poeta doctus è imbevuto della parola scritta, di quei libri che, in modo forse sprezzante, Platone definisce hypomnemata, e ha il suo tempio laico nelle grandi biblioteche ellenistiche che faranno divenire centri di cultura Alessandria e Pergamo e successivamente Roma a seguito delle guerre d’oltremare.
La medesima questione di un poeta compreso tra il razionale e l’irrazionale, tra lo studio e la rivelazione, non si esaurisce nell’antichità, ma prosegue nei secoli. Credo possa essere emblematico il caso di un autore come Dante che nel corso del Medioevo, in una terzina alquanto celebre (Pd, XXV, 1-3), parlerà del proprio poema come sacro, sia per la materia del canto che per l’ispirazione derivata dalla grazia divina, chiosando poi che la sua opera è un lavoro che l’ha fatto per molti anni macro, per quel lavoro intellettuale che lo ha portato a realizzare la propria opera.
Dunque, il poeta è vas o doctus? La questione rimane aperta e rimarrà aperta: accanto alla razionalità dello studio che darà vita ad opere letterarie, ci sarà sempre una dimensione di mistero e di sacralità non totalmente comprensibile dall’intelletto umano. Nessun poeta potrà essere classificato in modo univoco in una categoria o nell’altra, ma ci sarà sempre un dialogo costante tra questi due modi attraverso cui si costruisce la personalità e la poetica di un autore.
Riccardo Magni nasce il 10 maggio 1998 a Milano e vive ad Abbiategrasso. Presso il capoluogo lombardo frequenta il Liceo classico Manzoni, diplomandosi a pieni voti. Nel novembre 2022, ottiene la laurea magistrale in Filologia, letterature e storia dell’antichità con voto 110/110 e lode presso l’Università degli Studi di Milano. Presidente del Rotaract Club Abbiategrasso, Presidente della Commissione Cultura del Distretto 2050 per l’A. S. 2022/ 2023, è Referente per la Regione la Lombardia del movimento Rinascimento Poetico e dal febbraio 2023 è Vicepresidente di Rinascimento Poetico per l’Italia insieme ad Antonella Corna. Appassionato, oltreché di poesia, anche di teatro e di musica (suo è il secondo posto al Premio Lunezia 2021 per la sezione Autori di Testo), Riccardo Magni è autore di tre libri di poesia e di due saggi scientifici.