di Antonella Corna
FRANCESCO GRANITO: Nato ad Apricena (Fg) nel 1954, vive e lavora a Bari. Già docente di discipline pittoriche al Liceo Artistico Statale “De Nittis – Pascali” di Bari. Ha realizzato diverse personali e partecipato a numerose collettive e rassegne, nazionali ed internazionali. Le sue opere sono caratterizzate dall’uso di materiali pesanti come la pietra e il marmo, contrapposti alla estrema leggerezza dei soggetti simulati (piume, aeroplanini, merletti, bolle di sapone), rappresentazioni metaforiche di stridenti contrasti, riscontrabili nella vita stessa degli uomini.
ANTONELLA CORNA: Francesco, ci racconti qualcosa di lei attraverso un colore, un aggettivo, un profumo, una sua opera.
FRANCESCO GRANITO: Effimero è l’aggettivo che più si addice ai contenuti delle mie sculture.
Effimero come una piuma che si posa lenta e leggera sul suolo di Apricena. Come un foulard che il vento fa impigliare tra i pali dei pescatori nel lago di Lesina. Come la traiettoria di un aeroplanino in “ti lancio un pensiero”. Come una tendina mossa dal vento, o come una bolla di sapone in “soffio scultura”.
Tutti soggetti che raccontano la storia di un attimo, attraverso un materiale eterno quale la pietra ed il marmo.
ANTONELLA CORNA: Qual è stato il momento o il segno che le hanno permesso di trovare la giusta strada espressiva del suo linguaggio artistico?
FRANCESCO GRANITO: Da sempre il mio interesse si è concentrato sulle cose umili ed insignificanti della vita. Sono quelle cose che non fanno la storia, ma che possono far riflettere.
Ricordo, per esempio, che, durante il servizio militare, mentre sui muri della caserma c’erano ancora roboanti scritte fasciste e si respirava nell’aria la stessa retorica, io contrapponevo la noia ed il disinteresse per quei contenuti attraverso dei dipinti che ritraevano i soggetti più insignificanti. Un pacchetto accartocciato di sigarette buttato sui ciottoli oppure la parte inferiore di una brandina militare (dove ero confinato durante le notti insonni) catturavano il mio sguardo.
Il linguaggio era iperrealista, quasi maniacale, indice di una chiusura, un atteggiamento autistico che non ammetteva alcuna imposizione dall’esterno.
Questa piccola produzione mi portò a realizzare una mostra personale sull’antimilitarismo.
Da allora i miei interessi si sono concentrati sulla poetica dell’inutile e dell’inconsistente fino ad arrivare poi a quella dell’effimero.
ANTONELLA CORNA: Un’opera d’arte deve sempre essere comprensibile? O può restare arcana ai più e limitarsi a rappresentare il tentativo dell’artista di indagare il mistero?
FRANCESCO GRANITO: L’arte visiva è uno dei linguaggi che il genere umano usa per comunicare così come la parola, la musica, la poesia, il cinema, il teatro ed altre forme espressive.
Se l’arte è un mezzo di comunicazione deve favorire lo scambio di idee, atto a migliorare noi stessi e quindi la società.
Per assolvere a questa funzione credo che l’arte debba essere, se non didascalica, almeno leggibile. Questo non vuol dire che l’artista deve rinunciare alle sue potenzialità espressive a favore di una facile comprensione, ma neppure deve essere talmente criptico da impedire alcun tipo di contatto con il fruitore.
Il fruitore, dal canto suo, deve fare lo sforzo di frequentare costantemente l’arte per poter captare ogni sua sfumatura, anche quella di più difficile comprensione.
ANTONELLA CORNA: La bellezza salverà il mondo – diceva Dostoevskij – La bellezza sta già salvando il mondo – dice Rinascimento Poetico. Francesco: che rapporto ha lei con la bellezza?
FRANCESCO GRANITO: Sul tema della bellezza, mi dispiace, ma sono molto meno ottimista di Dostoevskij e di Rinascimento Poetico. Per quanti sforzi possa fare l’arte, non riesce a contrastare sufficientemente le negatività del nostro periodo storico caratterizzato da cinismo, profitto, egoismo, espressi attraverso la prevaricazione e a volte la violenza. A tutto questo, spesso, si aggiunge l’indifferenza e l’assuefazione dell’essere umano. Non dico che le cose non possano cambiare in meglio, ma l’arte da sola non ce la fa, anche perché sono subentrati altri mezzi di comunicazione più invasivi e prepotenti, come i social, spesso portatori di squilibrio sociale. Il genere umano ha la presunzione di poter dominare le cose, ma spesso gli sfugge di mano il controllo delle situazioni. Sono lontani i tempi in cui l’equilibrio formale dell’arte raccontava certezze e armonia. Non credo all’arte che deve proporre soluzioni per il futuro, ma a quella che esprime gli stati d’animo del presente.
ANTONELLA CORNA: L’umanità oggi si trova ad affrontare un’epoca di grandi trasformazioni, segnata da profondi cambiamenti sociali, politici e culturali che si riflettono inevitabilmente anche nel mondo dell’arte. Crede anche lei che si stia vivendo un Nuovo Rinascimento? E gli artisti come si collocano all’interno di tale rivoluzione? E che responsabilità aggiuntiva hanno, nella società?
FRANCESCO GRANITO: Secondo me non si può parlare di nuovo rinascimento. Il pensiero umanistico e rinascimentale (almeno del primo cinquecento) era improntato sulla centralità dell’uomo all’interno dell’universo. Questo concetto infondeva profonde certezze grazie alle quali sono state prodotte opere d’arte che esprimono un assoluto equilibrio formale attraverso l’uso della simmetria e delle proporzioni.
L’arte contemporanea la accosterei, più che altro, al secondo rinascimento, periodo in cui, con l’affermarsi delle teorie copernicane, si perse la centralità dell’uomo e l’arte espresse sensazioni di spaesamento e di disagio.
Viviamo in un’epoca caratterizzata da forti squilibri nel rapporto fra uomo e natura, da rapporti umani malati in cui la corsa al profitto e il culto del denaro hanno accentuato le divaricazioni sociali.
Da questo periodo, caratterizzato da una pandemia ancora in atto e da venti di guerra, non può che scaturire un’arte che esprima disagio, sconforto e squilibrio.
Certo il Rinascimento è una speranza che è in tutti noi, ma al momento non la vedo neanche all’orizzonte.
ANTONELLA CORNA: Qual è l’opera che vorrebbe realizzare?
FRANCESCO GRANITO: L’opera che mi piacerebbe realizzare è un’opera carica di ottimismo, che parli di un ristabilito equilibrio fra uomo e natura e di pace sociale. Mi rendo conto però che al momento è solo un sogno nel cassetto.
Intervista di Antonella Corna
Riccardo Magni nasce il 10 maggio 1998 a Milano e vive ad Abbiategrasso. Presso il capoluogo lombardo frequenta il Liceo classico Manzoni, diplomandosi a pieni voti. Nel novembre 2022, ottiene la laurea magistrale in Filologia, letterature e storia dell’antichità con voto 110/110 e lode presso l’Università degli Studi di Milano. Presidente del Rotaract Club Abbiategrasso, Presidente della Commissione Cultura del Distretto 2050 per l’A. S. 2022/ 2023, è Referente per la Regione la Lombardia del movimento Rinascimento Poetico e dal febbraio 2023 è Vicepresidente di Rinascimento Poetico per l’Italia insieme ad Antonella Corna. Appassionato, oltreché di poesia, anche di teatro e di musica (suo è il secondo posto al Premio Lunezia 2021 per la sezione Autori di Testo), Riccardo Magni è autore di tre libri di poesia e di due saggi scientifici.